Il volo di Sara: intervista a Matteo Corradini, scrittore.
Seconda parte
Il volo di Sara: intervista a Matteo Corradini, scrittore.
Seconda parte Seconda parte del nostro speciale per il Giorno della Memoria in cui si commemorano le vittime della Shoah. Nella prima parte abbiamo intervistato Lorenza Farina e Sonia Maria Luce Possentini, rispettivamente scrittrice e illustratrice de Il volo di Sara, un libro che racconta ai più piccoli il dramma di ciò che è stato; in questa seconda parte abbiamo incontrato Matteo Corradini, ebraista e scrittore, nonché curatore della nuova edizione del Diario di Anne Frank.

Le immagini sono tratte da Il volo di Sara.
La prima del nostro speciale è disponibile qui.

27 gennaio, Giorno della memoria. Ci ricordi perché è stata scelta proprio questa data?
È il giorno della cosiddetta “liberazione del lager di Auschwitz. Dico “cosiddetta perché nessun campo fu liberato per volontà militare ma semplicemente per l’avanzata delle truppe. Auschwitz è il simbolo della Shoah, e l’apertura dei suoi cancelli rappresenta un momento simbolico molto forte.

Cosa ha distinto la Shoah da altre tragedie della Storia e perché è importante ricordarla?
La solitudine. L’orrore del disprezzo pubblico. La noncuranza della politica. La lontananza. La spensieratezza trasformata in paura. L’egoismo. Il desiderio di sopravvivere. L’essere giovani nel mare in tempesta. Essere diversi, e proprio per questo uguali. Il desiderio di resistenza. Aver paura degli altri, dei nuovi individui che popolano la nostra terra, e non sapere se reagire con violenza o con accoglienza. Sono questioni di ieri o di oggi? Forse sono questioni di sempre, e la Memoria serve a farle affiorare. A mostrarci che non siamo diversi dagli ebrei, e che persone intorno a noi stanno subendo la storia così come la subivano gli ebrei.
Soprattutto, il Giorno della Memoria non deve lasciarci in pace: il 27 gennaio ci dice che in ognuno di noi, anche nel più santo, c’è una briciola di fascista. Derido chi dice che il fascismo ha fatto anche cose giuste: contro quel male, che è sottile, è un male che t’ingrigisce senza che tu te ne renda conto, vogliamo aprire una lotta. È in fondo semplice darla contro ai nazisti e stare dalla parte degli ebrei di ieri. Ma difficile, difficilissimo, vedere quella scheggia di razzismo che alberga in noi, riconoscerla e fare di tutto (aprire gli occhi, studiare, incontrare, generare azioni virtuose, essere pragmatici, non dare nulla per scontato…) per indebolirla.

Fai molti incontri e laboratori su questo tema: qual è la reazione dei ragazzi di fronte a questi fatti, cosa sanno i ragazzi di cosa è accaduto più di settant’anni fa?
A me, più di tutto, piace lavorare nelle scuole. Anche nelle scuole più piccole. Vengo travolto dalle domande dei giovani nelle scuole, dai loro dubbi. Lavorare con i ragazzi partendo dal passato è molto difficile, perché per ragioni anagrafiche tutto è percepito come lontano, e visto che è lontano è anche inutile, e «visto che è inutile cosa ci fa qui l’ebraista? Intanto però perdo l’ora di chimica». È proprio il pensiero dei giovani che non te la faranno passare liscia a spingerti a cercare un perché, e un senso a quello che fai. Se entri in un liceo e parli a trecento diciottenni e non hai un senso, sei spacciato, ti sei lanciato senza il paracadute convinto che il valore di quello che sai ti terrà su. In bocca al lupo.

E cosa sanno (o fanno) gli adulti che dovrebbero trasmettere questa conoscenza?
Il 27 gennaio ha un senso molto grande. E perché la molla energetica di questo giorno non venga arrugginita dal cerimoniale, dalla retorica, dalle frotte di improvvisati e parvenu, la soluzione è una sola: coniugarlo al presente. Quegli anni, gli anni della Seconda guerra, della Soluzione finale, delle persecuzioni razziali, sono tanto diversi dai giorni di oggi. È vero, ma il gheriglio di quelle storie, pur sotto un guscio che si mostra differente, ha il gusto delle storie di oggi. Ha il gusto dei giovani di oggi.

A parte i classici come Diario di Anne Frank o Se questo è un uomo di Primo Levi, che libri consigli di leggere, per grandi e piccini, su quest’argomento?Intanto, non consiglio il libro di Primo Levi alle elementari. Questo perché Levi non voleva parlare ai ragazzi: ha un linguaggio alto, è uno scrittore molto complesso e non adatto a loro, infatti lo consiglio dalle superiori in su. Se però vogliamo rimanere sul cognome Levi, consiglio per i ragazzi la lettura dei libri di Lia Levi, una che sa raccontare le storie, e le sue sono sempre autobiografiche anche quando non lo sembrano. E consiglio quelli di Uri Orlev, come per esempio L’isola in via degli Uccelli, e anche il graphic novel Maus di Art Spiegelman. Poi , per i grandi, posso consigliare due libri che personalmente ho trovato illuminanti: C’era l’amore nel ghetto di Marek Edelman e Badenheim 1939 di Aharon Appelfeld.